Oggi ho viaggiato a lungo. Cuffie nelle orecchie e arriva il modo con cui ci isoliamo dal mondo. Quello però non è silenzio, ma come viene definito, una sottile forma di autismo sociale. Prima o poi, bisogna fare i conti con il silenzio; finora il umore di parole inutili ha rubato tempo e vita. A me specialmnente. A me soprattutto…
Ne Il silenzio del corpo, Guido Ceronetti scrive che «chi tollera i rumori è già un cadavere».
Il silenzio non è un’assenza, non è un vuoto, il silenzio ha una sua grammatica, una sua pienezza. Il rapporto fra rumore e silenzio ricorda molto quello fra memoria e oblio. Che è uno dei nessi più inestricabili e complessi che la storia della cultura occidentale abbia tramandato; nei racconti, nelle manifestazioni, nelle polverose teche tutto sembra parlare a favore della memoria, la quale, a differenza dell’oblio, gode di una trattatistica esuberante. Una sorta di mitologia cupa avvolge invece le pianure dell’oblio e da sempre assistiamo alla lotta sorda che l’oblio combatte per riscattare la sua fama compromessa. E infatti Baltasar Gracián diffida della memoria nemica del silenzio, delle tenebre, del segreto.
Non avendo neppure particolare attitudine filosofica, non oso affrontare i «sovrumani silenzi» e la «profondissima quïete» di cui parla Leopardi, raccogliendo piuttosto il sacrosanto invito di Wittgenstein: «Su ciò di cui non si può parlare, si deve tacere». Il silenzio è anche una forma di rispetto nei confronti della conoscenza cui invano aspiriamo, è accettazione della propria limitatezza.
Mi basterebbe capire perché non siamo più capaci, quando capita, di osservare un minuto di silenzio negli stadi o perché nel corso di un funerale ci abbandoniamo all’applauso. Il silenzio non ci appartiene più, non lo riconosciamo. Per esprimere quella cupa, muta e sorda ebetudine che tramortisce quando le grandi disgrazie premono, ci abbandoniamo a una sinistra euforia: sfogarci, applaudire.
Parliamo, cerchiamo affannosamente il rumore perché copra il silenzio che più ci spaventa.
Il silenzio ci appare oggi come un vuoto angoscioso, così angoscioso da preferirgli il rumore, il chiacchiericcio, persino l’acufene, la vera colonna sonora della modernità. Eppure, la nostra epigrafe sarà solo quella dettata da Ceronetti: «La vita rimescola dati e dadi; l’ultima parola, su tutto, la dirà il silenzio».
Fonte e ispirazione dal Corriere. it, in un articolo molto ben strutturato di Aldo Grasso.
E adesso vado ad ascoltare il rumore della pioggia sui vetri, un ticchettio cadenzato al quale abbandonarmi per questa notte di fine ottobre!
Buona notte Ombra!