La bellezza era per i Maori di un tempo l’essere umano rigenerato dal tatuaggio; il viso era coperto di complessi motivi dalla radice dei capelli al mento e da un orecchio all’altro: questa ornamentazione aveva nome "moko"; erano tatuati anche l’addome e le gambe dalle cosce fino alle ginocchia: quest’altra ornamentazione aveva il nome di "rape".
Il tatuaggio nella civiltà Maori era praticato soltanto da santoni o da coloro che erano ufficialmente riconosciuti come "Tohunga" (tatuatore) ed era parte di un rituale sacro che aveva lo scopo di proteggere gli spiriti del tatuato e del tatuatore dal male.
Iniziavano a tatuarsi sin da adolescenti ed il tatuaggio costituiva un preciso ed elaborato strumento di comunicazione sociale: la società Maori era molto stratificata ed il tatuaggio indicava con precisione la casta di appartenenza di ognuno, l’origine sia materna che paterna, o il raggiungimento di un rango superiore a quello di nascita per aver compiuto azioni particolarmente meritevoli, infine indicavano il mestiere.
I tatuaggi erano motivo di grande orgoglio per il guerriero che li portava e una donna che non avesse segni tatuati intorno alle labbra non era considerata attraente.
Sono due le tecniche con cui si praticavano i tatuaggi pressi i maori: il "puhoro", che consisteva nel pungere la pelle con uno strumento acuminato e nell’inserire nelle punture un pigmento che lasciava la traccia del disegno sotto pelle; ed il "moko whakairo", che veniva fatto con scalpelli ed altri strumenti taglienti che "scolpivano" la pelle: le ferite venivano successivamente riempite di colore e il disegno, una volta guarita la pelle, era reso ancora più evidente da rilievo delle cicatrici.