Oggi, di fronte ad un tatuaggio giapponese ci si rende subito conto della grande differenza concettuale che lo separa dal tatuaggio occidentale: infatti, mentre in occidente i tatuaggi sono disegni isolati incisi nella pelle in una parte qualsiasi del corpo, in Giappone è l’intero corpo ad essere decorato con un unico disegno che ne segue e sottolinea le linee anatomiche e le simmetrie. Ne risulta un perfetto equilibrio tra la parte tatuata del corpo e quella in cui la pelle viene esaltata nella sua purezza.
Il tatuaggio è stato praticato in Giappone fin dai tempi antichissimi con stili e finalità diverse: le "haniwa", statuette d’argilla rinvenute in antiche tombe giapponesi, hanno chiaramente visibile, tatuaggi facciali che avevano probabilmente un significato religioso o magico; una delle più antiche cronache storiche scritte giapponesi: il "kojiki" riferisce di tatuaggi praticati a scopo estetico e su una pergamena del XVII secolo vi è dipinta una donna il cui corpo è estesamente tatuato. Le varie forme di tatuaggio, a partire dal XVIII secolo vennero indicate con nomi diversi: quello punitivo era chiamato "irezumi", mentre quello decorativo "horimono" a Edo (Tokio) e "gaman" ( ossia pazienza, che occorre per sottoporsi ad un tatuaggio) nella regione di Kyoto e Osaka.