Ridi che ti passa…

Dire cheese ormai è obsoleto. Gli spagnoli usano patata, in Australia va di moda urlare money e i giapponesi hanno rubato whisky al vocabolario inglese. Già, perché molte lingue non hanno una smile word, una parola da pronunciare per piegare la bocca al sorriso. Eppure l’atto di ridere ha una sorprendente geografia e una storia molto personale: è diverso da luogo a luogo ed è cambiato nei secoli, come spiega Angus Trumble, curatore e storico dell’arte, nel suo libro A Brief History of the Smile (Una breve storia del sorriso). Praticamente, un giro del mondo passando in rassegna migliaia di sorrisi diversi, che sono specchi delle culture da cui provengono. È vero che si sorride fin da quando si è nella pancia della mamma, perché è la risposta fisiologica a uno stato di benessere, come dimostrò già nell’Ottocento il neurologo Guillaume Duchenne.

Ma è altrettanto vero che ogni cultura ha proprie convenzioni sociali su come gestire le emozioni. «Prendiamo per esempio americani e inglesi», spiega Dacher Keltner, docente di psicologia all’Università di Berkeley, in California. «Una sola lingua, ma due modi opposti di sorridere: i primi ‘tirano su’ gli angoli della bocca, mostrando i denti superiori, come fanno Julia Roberts, Robert Redford o Tom Cruise. A labbra composte e tirate come in una smorfia è invece il sorriso english, detto anche "del principe Carlo d’Inghilterra", per l’esemplare modello da lui fornito». Culture a parte, occhio ai falsi: non coinvolgono i nervi e i muscoli di zigomi e occhi, invece inclusi nel sorriso naturale. Si chiamano sorrisi Pan Am, perché ricordano le "inespressioni" di benvenuto degli assistenti di volo della defunta compagnia di volo americana; o, più modernamente, Botox smile, perché, come chi si è sparato del botulino in viso, danno l’idea che le linee di espressione vadano da una parte e le emozioni dall’altra.

A prescindere comunque dalla sua naturalezza, la risata è in auge: persino nei backstage delle sfilate risuona l’imperativo «smile!» tra le cose che le modelle devono ricordarsi di fare in passerella. Tuttavia, se ridere non è imposto per lavoro, piuttosto che stamparsi un sorriso falso sulla faccia quando si è giù, meglio passarsi del rosso sulle labbra: spazzerà via l’aria sbattuta. A quanto pare lo fanno in molti, dal momento che, osserva Trumble, le vendite dei rossetti si impennano curiosamente quando l’economia di un Paese va male. L’espediente del colore era peraltro usato anche dalle geishe, che si dipingevano i denti di nero per contrastare l’allure cadaverica dovuta alla cipria bianca per il viso….

E allora….Ridi Pagliaccio!!!!

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2 comments

  1. Quindi quando sono triste dovrei mettermi il rossetto? o_O

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